Salviamo i bambini sfruttati nelle piantagioni di coca in Colombia.

Là in fondo c’era casa mia, aveva 120 anni

“El Tarra! Il fiume si è portato via tutto!”
“Quello in alto? Dove si coltiva la coca?”
“No, il piccolo, quello che sta in basso, quello che si passa andando a Cúcuta. El Tarrita”

Questa è la conversazione che tutti quanti hanno avuto la mattina del 31 maggio. 

Il fiume Tarra è uno dei principali della regione, ha 320 kilometri di lunghezza e, all’alba di mercoledì 31 maggio, dopo due giorni di temporali, strabordò e inondò tutto il paesino de El Tarrita, come lo chiamano qua. 

Un “paesino”, ci vivevano circa 70 famiglie, distava appena 30 minuti, 25 km, da Ábrego. Aveva la sua scuola, i suoi negozi, il parco, aveva tutto ed era meraviglioso. Il fiume Tarra si è portato via tutto. Non rimane più nulla che non sia completamente ricoperto di fango. 

Alle 4.30 del mattino è iniziato l’incubo più grande di tutti quelli che vivono – o meglio dire, vivevano – là. Il fiume ha cominciato a crescere e senza fretta si è mangiato tutto, non ha lasciato nulla. Le persone hanno avuto appena il tempo di alzarsi dal letto e uscire di case, hanno avuto il tempo di scappare su per la montagna sperando che l’acqua e il fango non li raggiungesse. Tutti hanno perso la propria casa, le proprie cose, le moto; coloro che avevano animali e coltivazioni li hanno persi; quelli che avevano un negozio hanno perso tutta la merce. Della maggior parte delle costruzioni è rimasto solo il tetto.  

Sindy, la nostra segretaria, è nata là. Ha vissuto nel paesino de El Tarrita fino ai 5 anni dove oggi continua a vivere tutta la sua famiglia: i fratelli di suo papà e gli amici di tutta una vita. Se parliamo di solo quelli che portano il suo stesso cognome, quelli che sono famiglia di sangue, parliamo di 18 persone: bambini, giovani e vecchi. Se parliamo delle persone care, ci stiamo riferendo a tutto il paese, a tutte le 70 famiglie. 

Mentre mi raccontava della sua famiglia, guardando insieme le foto della tragedia, Sindy mi diceva: “questa era la casa di mio zio, qua c’era la scuola, là in fondo il negozio di paese, quella piccola casetta è dove la mia famiglia teneva i maiali e accanto i polli, …” in una sola foto ci sono tutti i suoi ricordi di bambina e adesso non rimane nulla. Si vede solo fango, solo fiume. 

Le autorità hanno subito caricato le macchine di cibo e hanno portato il tutto agli evacuati. La Croce Rossa, la Defensa Civil, la polizia e l’esercito hanno cominciato a ricercare i dispersi. La maggior parte stava bene, alcuni necessitavano di aiuto medico immediato. Tra questi ultimi c’erano anche alcuni familiari di Sindy. Il cuginetto, 18 anni, si è rotto un braccio cercando di sostenere una parete perché non cadesse addosso a lui e alla nonna. La nonna, nonché zia di Sindy, è rimasta sommersa nel fango per diverse ore respirando acqua e macerie. Entrambi sono stati portati d’urgenza all’ospedale, curati e dimessi lo stesso giorno, la zia però rimarrà con molti problemi di respirazione. Alcuni amici sono riusciti a mettersi in salvo salendo la montagna, ma sfortunatamente hanno scelto il lato che è poi rimasto senza connessione e senza comunicazione per due giorni interi e hanno dovuto aspettare l’arrivo degli elicotteri per poter uscire dalla trappola in cui si erano infilati. Operatori e scavatrici stanno lavorando “più ore dell’orologio”, senza pausa, per rimuovere il fango dalle case e dalle strade, nella speranza di riuscire a ritrovare qualche oggetto prezioso o di valore affettivo da poter riconsegnare ai proprietari. C’è la necessità di ripulire la strada principale e di ricostruire i ponti senza i quali tutta la regione di Norte de Santander rimane bloccata e senza via che colleghi le città principali: il commercio è fermo, le attività sono ferme. Tutto è bloccato.  

Gli evacuati stanno ricevendo gli aiuti del governo, si stanno offrendo letti nei centri di accoglienza di Ábrego e Ocaña, è stato perfino montato un accampamento nello stadio e sono stati messi a disposizione gli hotel. Tutti stanno aiutando, c’è chi ha la possibilità di offrire uno spazio nelle case di campagna, chi una stanza nella propria casa. Altri stanno regalando cibo e vestiti. Tutti quanti avevano un familiare o un amico che viveva ne El Tarrita e tutti vogliono dare una mano come possono. La solidarietà che si può sentire in questi giorni a Ábrego è molta. Le emozioni che si provano camminando per le vie del centro, guardando le facce delle persone che sono rimaste senza nulla ma che sono felici di essere ancora vivi, sono forti. Con la camionetta della fondazione siamo riusciti ad arrivare fino al pueblo, fino alla scuola de El Tarra, fino al ponte più grosso della via, il ponte però non c’è più. Oltre non si può passare. La via fino a là è deserta, era la più trafficata della regione e noi non abbiamo incontrato neanche una macchina. Gli unici rumori che si sentono sono l’acqua del fiume che scorre e gli uccellini che cinguettano. Le realtà che si vede, le sensazioni che si percepiscono sono quasi surreali. Il sole, il caffè che ci hanno offerto, il sorriso sulla faccia di tutti, nulla sembra possibile quando sotto i piedi c’è solo fango, quando molti ci hanno detto “li, al lato della strada, c’era casa mia”. Però com’è possibile che li ci fosse una casa se non c’è neanche un mattone? È che la casa, o ciò che ne è rimasto, è coperto da due o tre metri di fango, lì sotto ci saranno i resti ma per il momento tutto quello che si vede è terra, e sembra così naturale…

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