Seduto sotto il porticato della cucina vedo quest’ometto sorridente che tira fuori secchi di terra dal pozzo. Più sotto, il collega, ancora più sorridente, scava da giorni a forza di zappa. È sceso a 9 metri, per due di diametro a forza di braccia e argano per tirare fuori almeno una cinquantina di tonnellate di terra. E ce ne sono diciotto di tonnellate di cemento a fare da canale per la discesa.
A me i numeri piacciono e mi restituiscono sempre la misura corretta di quello che vedo.
L’uomo che risale il pozzo ha la faccia stanca, sono tre settimane che colpisce terra, pietre, sabbia, terra, terra, terra, sabbia e poi pietre.
Ogni volta che spera sia l’ultimo strato, qualcosa di nuovo salta fuori.
L’acqua già esce regolarmente, ma ancora troppo sporca perché si possa bere. E allora si scende ancora.
Il rabdomante ha le mani da lavoratore, ma lo strumento con cui si è presentato era molto più un atto di fede che un oggetto legato alla fisica conosciuta. Girava in tondo per determinare la profondità, ogni giro in senso orario un metro in basso, ogni giro in senso antiorario si risale di un metro. Il marchingegno gira forte in senso antiorario e ogni tanto ritorna, come se ci ripensasse, come se incerto non volesse confermare la discesa. L’ordine è di cinque in senso antiorario, due orario, altri quattro in senso antiorario e due ulteriori in senso orario. Il rabdomante sentenzia: sette metri, forse sei.
Ovvio, lo strumento ha una tolleranza all’errore come tutte le macchine di alta precisione.
Sono arrivati una mattina in due, uno guidava e l’altro armeggiava con una specie di tric trac che invece di suonare girava in cerca d’acqua. Identificata la vena, tanti giri tanti metri e si scende. L’ho anche provato, ma io non lo avevo calibrato come aveva fatto lui, e quindi con me era meno preciso. Non che fosse un marchingegno privo di qualsivoglia senso fisico e tecnologico, era solo che non era “settato” per le mie capacità.
Hanno promesso di tirare fuori acqua e preparato la lista della spesa: tanto cemento, tanti tondini di ferro e poi pale e secchi. Hanno portato una specie di argano per far salire i secchi ricolmi di terra e pietre: il collegamento all’elettricità è un giro di roulette, speriamo che l’acqua non salti sui fili scoperti che altrimenti ci si gioca il croupier e tutto il banco della roulette. Uno scende e spala, quello che resta fuori, che si chiama solo con l’appellativo “Chefe” (ciefe), Capo, svuota secchi e fa scendere l’argano. Non hanno dato un tempo di lavoro, solo un prezzo orientativo per far spuntare l’acqua, e così dopo tre settimane me li trovo di fronte.
Sono già uscite un paio di giare di acqua limpida, qualche prova empirica per valutarne la bontà l’abbiamo fatta, ma ci ha confermato solo che non ci sono metalli presenti, per tutto il resto ci serve un laboratorio. El Chefe sostiene che lui la beve di prima mattina, quando con la notte i sedimenti si posano meglio, ma non gli credo fino in fondo. Quest’ometto è sempre di buon umore, ci ha portato anche del miele che fa lui nella sua finca. Abbiamo parlato un po’ e mi ha raccontato di come, un tempo, c’era un fiume che scorreva sotto la zona dove siamo noi, lui è in cerca del letto dove scorreva, così che l’acqua salga da sotto e scenda dai lati. Quella che incontrano ora è solo il preludio, dice che ce n’è molta di più. A dire il vero, di mattina, pompano fuori tra i cinque e i sei metri di acqua dentro il canale del pozzo che hanno costruito.
Negli ultimi giorni salgono meno pietre, la sabbia si fa più fine, El Chefe dice che quasi ci siamo. Compriamo le ultime cose per costruire l’ultimo livello, quello esterno, quello che ha il coperchio, quello da cui esce sono il tubo con l’acqua pulita.
“Chefe siamo pronti? Da domani acqua limpida?”
“No, ancora no. Deve pulirsi! ”
“E come si pulisce?”
“Con il tempo!”
“E quanto tempo?”
“Eh, insomma, dipende…”
“Dipende da che?”
Estrae il bastone da rabdomante, aspetto che lo faccia girare per contare i giorni che ci vorranno per pulirsi, così lo guardo sorridendo e faccio compiere il destino dell’arnese.
Lui canticchia e sorride.
Sorride anche l’uomo nel pozzo, che alla fine ha scavato per quasi settanta tonnellate, quintale più, quintale meno, che ha usato l’ingegno per far scendere con la gravità le oramai venti tonnellate di cemento sul suo scavo e risparmiarsi alcuni colpi.
Ora sale e scende con l’imbrago, anche questo lo fa sorridere.
Dopo quasi un mese sono parte della famiglia oramai, tutti sono allegri.
Se ne vanno con la soddisfazione del lavoro finito, più in basso del previsto, ma esattamente dove girava l’arnese.
Ohi, la verità è che conosco un rabdomante, uno vero!
Massimo